
Vivere in un corpo sano e abile, che non ha subito sofferenze di alcun genere, significa trovarsi in una condizione di silenzio, ovvero un organismo che non dà "problemi" perché gode di integrità psicofisica.
Il corpo, infatti, è l’elemento che sostiene la continuità di sé nel tempo e nello spazio fisico e mentale ed è per questo che un fisico sano e in salute dà sicurezza, forza, fiducia di sé e nelle proprie capacità.
D’altra parte, un corpo malato (ovvero che ha subito un trauma) fa rumore: gli organi, che prima tacevano, ora parlano, il corpo viene percepito per le sue imperfezioni, dolori e menomazioni fisici e quindi per una sofferenza interiore.
Il trauma, di fatto, come sostiene Crocetti, altera la continuità di sé e provoca una scissione: ogni qualvolta che avviene un’interruzione del processo evolutivo, qualcosa che ne modifica la sua integrità, oppure l’affrettarsi o il ritardare ad arrivare ad un determinato punto, il corpo e la mente ne rimangono condizionati e ciò lascia una cicatrice.
Ma che cosa è il trauma e perché è cosi frustrante e deleterio per l’organismo?
In termini freudiani, il trauma è un evento improvviso caratterizzato da un incremento di stimoli talmente forte, quindi un afflusso di eccitazioni non tollerabili per il soggetto, per cui non è possibile la sua liquefazione o elaborazione nel modo usuale.
Per questi motivi, la persona (l’Io) può crollare sotto l’azione del trauma e di conseguenza la propria immagine corporea ne risulta condizionata, turbata ed instabile[1]. Di conseguenza è naturale che ne discendano disturbi permanenti nell’economia energetica della psiche.
Questo è ancor più motivato poiché, certe volte, i traumi possono comportare deficit (psicofisici) congeniti o acquisiti, permanenti o precari e determinare disabilità, manifestando la condizione di vulnerabilità.
Esponendo il soggetto a questo intenso afflusso di stimoli che alterano la continuità di sé, la persona viene esposta ad una violenta crisi di identità e del proprio essere al mondo.
Il termine crisi deriva dal greco krisis, che significa scelta. Scegliere vuol dire assumersi delle responsabilità di intraprendere una strada piuttosto che un'altra e in ogni caso perdere in modo irreversibile qualche cosa per acquistarne un’altra. Le crisi possono essere assunte come momenti di passaggio e circoscritte in due categorie: le crisi evolutive e quelle accidentali o della vulnerabilità esistenziale. Le prime possono riguardare la vita di ognuno e si registrano in presenza di situazioni di passaggio (la nascita di un figlio, il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta). Le crisi accidentali sono parzialmente prevedibili e si osservano in corrispondenza di eventi che rompono il normale andamento dell’esistenza mostrandone la vulnerabilità e come è stato detto possono rappresentarsi sotto varia forma.
Le situazioni di crisi possono avere un andamento naturale, che implica il loro superamento anche grazie alle risorse biologiche, personali, sociali, spirituali o di solidarietà. Ovvero, il soggetto riesce a costruire un processo di resilienza, poiché ha osservando tale esperienza da una prospettiva che gli ha permesso di apprendere ed arricchirsi, reagendo positivamente all’evento traumatico; oppure si può subire tale avvenimento e correre il rischio che questo impedisca di fuoriuscirne con una forza rinnovata. In ogni caso le crisi mostrano la condizione di vulnerabilità che non sempre è possibile celare. Essere vulnerabili significa non solo fare i conti con l’immagine di sé che ci si è costruiti, ma anche con il mondo in cui gli altri percepiscono, pensano e agiscono la vulnerabilità. In alcuni casi si percepisce celarla, forse perché si ha la sensazione di non essere compresi o anche perché non tutto può e deve essere raccontato.
La nozione di vulnerabilità, infatti, contempla molteplici dimensioni e aspetti: quello intimo e intersoggettivo e quello sociale e collettivo[2].
Alterando l’integrità di sé, il trauma lede parti dell’vissuto psico-fisico, provocando dolore e sofferenza. Il dolore rappresenta l’emozione del corpo e può essere anche percepibile, mentre la sofferenza è dell’anima e persiste anche quando il dolore fisico cessa.
Questi sentimenti si traducono in esperienze di umiliazione (dell’Io) e mortificazione (del corpo), che sono legate ad un vissuto emotivo denso di perdite, abbandoni e rifiuti: il trauma, come già spiegato, altera la percezione del corpo, non è più lo stesso, diviene fragile e insoddisfacente perché ha perso identità; ciò scaturisce un senso di abbandono, demoralizzazione, mancanza di motivazione e fiducia verso se stessi. Tutto ciò può portare a negare la volontà di andare avanti e credere nel futuro, per cui il soggetto rifiuta di vivere.
Infine, il trauma è un evento atemporale, episodico e attivante: ovvero la sofferenza, come già preannunciato, permane nel tempo nella parte più intima di sé; riaffiorano alla mente episodi vissuti che hanno segnato una cicatrice dentro di sé; infine comporta l’attivazione inconscia di risposte difensive per proteggersi e recuperare l’integrità persa.
Altresì, Winnicott definisce il trauma come una stimolazione da parte dell’ambiente e della reazione dell’individuo all’ambiente, che interviene prima che l’individuo abbia sviluppato i meccanismi che rendono prevedibile l’imprevedibile. È una frattura nella continuità dell’esistenza dell’individuo. Ed è solo grazie al senso di continuità dell’esistenza che può realizzarsi, come caratteristica della personalità individuale, il senso di Sé, del sentirsi reale e dell’esistere[1].
La frattura che determina il trauma non dipende solo dall’importanza di tale evento e quindi dalla sua stimolazione sull’individuo, ma soprattutto da come è strutturata la continuità della persona al momento dell’accaduto, per cui dalla sua integrità psicofisica, dalla sua personalità, quindi dal vissuto che ne ha condizionato lo sviluppo.
Questo perché un trauma è sempre lo stesso, ciò che cambia è il corpo su cui agisce. Per cui, gli effetti di un trauma dipendono dalle condizioni della sua irruzione nella vita, dall’intensità e dalla durata, da caratteristiche personali e dalla sua storia. Uno stesso evento, a seconda del momento in cui si presenta, non avrà gli stessi effetti, poiché la persona, a seconda delle sue esperienze personali, è differente. I traumi sono diversi poiché sopraggiungono in momenti diversi, su strutture di personalità e in contesti differenti.
Quindi, a seconda dell’integrità della persona al momento del trauma, questa avrà maggiori o minori possibilità di rispondere positivamente ad esso e, allo stesso tempo, di poter subire in futuro di disturbi post-traumatici.
Per cui, occorre prendere seriamente in considerazione ogni aspetto, comprendere la persona, la sua sofferenza, le sue mancanze, i suoi disturbi e venire a contatto con i suoi bisogni.
Oggi il ben-essere in movimento è osservare dentro se stessi, accogliere e accettare ciò che siamo e di cui siamo fatti esattamente come ci si presenta, con le nostre emozioni, i nostri traumi, le nostre malattie, le nostre contratture muscolari e psicologiche. Osserviamo queste immagini e accogliamole. Chiediamoci cosa hanno di buono da insegnarci, cosa ci stanno dicendo, analizziamole da una prospettiva esterna. Accogliamo la loro voce dentro di noi e ascoltiamo cosa hanno da dirci.
Nessuno è perfetto, ma tutti siamo degni. Non si tratta di cambiare, ma di evolvere.
Bibliografia:
[1] TAVELLA S. [2012], Psicologia dell’handicap e della riabilitazione nello sport
[2] MALAGUTI E. [2005], Educarsi alla resilienza